La Vita Nel Monastero

Spiritualità​

In quanto Benedettine dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento ci sentiamo interpellate a vivere in primo piano la nostra vocazione battesimale e monastica, a focalizzare sempre più la nostra attenzione sul Mistero eucaristico al quale abbiamo votato tutta la nostra vita. Anche noi siamo in cammino e la risposta alla specifica chiamata che abbiamo abbracciata, si alimenta incessantemente ai piedi del Tabernacolo. È Cristo che ci fortifica nel cammino intrapreso, è in Lui che trova significato tutto quello che facciamo, è con Lui che ci offriamo per condividere nell’adorazione i bisogni, le fragilità, le incertezze, il peccato nostro e di tutti gli uomini. Facciamo nostri e portiamo davanti alla Maestà divina gli echi di gioia e di sofferenza del mondo, come il nardo profumato che, versato ai piedi di Gesù, si espande per tutta la casa. Siamo Benedettine per vocazione, adoratrici per missione. Non isolate dal mondo, ma raccolte in preghiera per essere nel mondo.

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Clausura

Da più parti ci giunge spesso l’invito a chiarire le modalità tipiche della nostra clausura dal momento che, e capita spesso, c’è tanta confusione a riguardo. È la mancanza di corrette informazioni a generare spesso luoghi comuni scontati e non sempre vicini all’effettiva situazione che si vive all’interno dei nostri monasteri; basta definire i punti fermi e dare qualche spiegazione più precisa perché la gente rimanga soddisfatta non tanto nella propria curiosità, quanto nell’interesse, quasi sempre benevolo, verso questo affascinante, ma non certo misterioso o “impenetrabile”,  mondo della clausura!

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La nostra giornata

La nostra vita è scandita dal suono della campana, quale voce di Dio che chiama alla preghiera, al lavoro, agli incontri di formazione… La campana che ritma gli orari della giornata monastica, ci ricorda il nostro voto di obbedienza: Dio è al di sopra di tutto, Egli è l’assoluto, il padrone del nostro tempo. Il primo tocco della campana è alle 5,00 di mattina, ora in cui ci alziamo. Alle 5,25 inizia l’Ufficio delle letture in coro seguito, dopo un breve intervallo, dalle Lodi. I salmi vengono sempre cantati, il più delle volte mantenendo la bella e gloriosa tradizione del Gregoriano. 

  • Dalla Regola di San Benedetto: «Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi; ma dobbiamo credere senza alcun dubbio che ciò avviene specialmente quando partecipiamo all’Opera di Dio» (capitolo 19°).

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Lavoro

L’augurio del salmo 127, «vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene…», trova certamente eco nell’espressione del capitolo 48° della Regola di San Benedetto «sono veri monaci quando vivono col lavoro delle loro mani». Nello stile benedettino, così come in tutta la grande tradizione monastica,  essere operosi è sentire l’armonia delle cose esistenti, è inserirsi nell’ingranaggio del fare, non assillante, ma orante. Il lavoro salva dall’inerzia e dall’ozio e rende gustoso il pane che si mangia. Si prega e si lavora per essere più vicini al Signore, Creatore di ogni cosa bella sulla terra. Un lavoro “pregato” aiuta a non attaccarci ai beni e a lodare Dio per quello che ci dona di fare. Si lavora per crescere e far crescere, per aiutare i fratelli, per capire e amare di più la vita e gli altri. Gesù per trent’anni ha condiviso il lavoro di san Giuseppe. È Lui che ci insegna un lavoro creativo, utile, mai fine a se stesso bensì ricondotto al Padre.

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Vita fraterna

L’ideale comunitario è fortemente accentuato nella Regola di san Benedetto, ed è un ideale che propone ed esalta il primato della persona rispettata e amata nella propria dignità umana fatta ad immagine e somiglianza di Dio. In una cultura spersonalizzante come la nostra, lo stile di vita cenobitico dei figli e delle figlie del grande Legislatore del monachesimo occidentale, diventa annuncio e denuncia di valori oggi sempre validi e intramontabili. La comunità è per le persone e per la loro crescita. Non c’è mai una uniformità massificante, la comunità non è un gruppo, ma è l’ambito vitale ordinato al divenire e alla crescita della coscienza della persona. La vita comune, in quanto tale, non è mai fine a se stessa, ma ha per obiettivo le persone, come mezzo l’amore e come fine la comunione con Dio. 

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Accoglienza

La Regola di san Benedetto inizia con l’esortazione «Ascolta» (Prologo, 1); è l’eco dello shemà ebraico, dell’invito a fare della nostra vita di fede una continua memoria, un ascolto perenne della Parola di Dio per accogliere, quotidianamente, il divino volere che ci apre alla carità. L’ascolto diviene vitale nel cammino spirituale perché apre alla dimensione dell’Assoluto che parla nel silenzio del cuore. Imitando Gesù Cristo siamo pertanto abilitati a quella missione di comunione che si fa accoglienza sensibile e delicata degli altri. Come anche sottolineato da Benedetto XVI all’udienza generale del 9 aprile 2008, «il monaco deve essere un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta […]. La preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (RB Prol., 45) che deve tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi insegnamenti” (RB Prol., 35)».

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